Il mare è di per se un patrimonio di bellezze, di storia, anche “pericoli” ma soprattutto con i frutti di mare, bontà da Storytelling del food. Non a caso gode di Cultura gastronomica attraverso innumerevoli ricette che da secoli portiamo sulle nostre tavole.
In alcuni casi certe bontà sono anche da Parola di Eugenio.
Perchè è sin dai tempi antichi che pesci e frutti di mare costituiscono una fonte alimentare importante per l’uomo.
Anche se da sempre contraddistinti dalla caratteristica di pericolosità e incertezza di approvvigionamento, per la sopravvivenza bisognava fare di necessità virtù e quindi ancor prima dell’avvento dell’acquacoltura e dei moderni sistemi di pesca.
Non bisogna pensare subito ai marinai, attuali o “classici”, ma anche a coloro che trascorrevano la maggior parte della loro vita a bordo di differenti tipologie di imbarcazioni.
Infatti da documenti di viaggio del periodo rinascimentale, si evince che sulle navi l’alimentazione dell’equipaggio veniva garantita soprattutto da alimenti a lunga conservazione, come formaggi o carne essiccata, ma anche dai pesci che si pescavano o conservavano sotto sale il tutto accompagnato da gallette.
Queste ultime erano focaccine secche, pressoché immangiabili se non inzuppate tradizionalmente nell’acqua di mare stessa, come le moderne “freselle”. Non a caso erano anche ideali come sostituto del pane, perchè conservabili per mesi e largamente consumate all’interno di zuppe e insalate per renderle più gustose e nutrienti. Queste “inzuppate” o abbinate a pesce conservato, tra acciughe sotto sale o il mosciame, in passato un prodotto mediante l’essiccazione del filetto di delfino, come l’attuale tonno che lo sostituirà, ma nel concetto diventava un buon pasto. Il tutto da “riempire” e rifinire dal condimento con altri prodotti in conserva come olive, capperi e olio d’oliva.
C’era anche una seconda categoria, un pò più “civilizzata” e magari anche più legata ai giorni d’oggi, cioè quella dei pescatori, creatori di Storytelling del food.
All’epoca erano quelli che rischiavano la vita a costo di catturare pesci, che magari non rappresentano una preda certa, dal momento che le condizioni del mare possono influenzare la pesca ogni giorno, se non renderla impossibile a causa delle tempeste.
Non a caso Francesco Carletti, Scrittore, Viaggiatore e Mercante italiano rinascimentale, nei suoi testi ricorda come nessuno a quei tempi volesse fare il mestiere del pescatore! Ad esempio, sugli spagnoli dice che: “[…] terrebbono il fare questa cosa vilissima […]”. Stessa sorte spetta al mondo arabo, infatti gli storici raccontano che in Tunisia questo lavoro veniva affidato ai cristiani. Perché a quel tempo emarginati allo svolgimento dei mestieri più umili. Ok, divenne un mestiere!
Perché nel frattempo, sulla terraferma, nobili e guerrieri dell’epoca si nutrivano dei “frutti del lavoro” , di questi coraggiosi lupi di mare, non a caso i “frutti di mare“.
C’era un problema riguardo i pesci “popolari”, catturati in grandi quantità nel nostro mare (sgombri, alici, sardine ecc.). Questi non erano graditi ai ricchi, che preferivano i grandi “pesci di scaglia”, cioè frutto di catture meno frequenti a seconda della stagione, frutto di pesca non programmabile o usuale, ma ricercati, e quindi costosi.
Perciò il pescatore vendeva questi pesci a caro prezzo. Talvolta li regalava al nobile in cambio di favori, nutrendosi esclusivamente di quelli rimanenti di poco valore, magari rimasto invenduto a fine giornata. Ed è proprio da qui che nasce la loro tradizionale” zuppa di pesce“.
Perché nata come “piatto di recupero”, essendo fatta di diversi tipi di pesci e frutti di mare rimasti invenduti dai pescatori a fine giornata. Poi si trasformerà sulle tavole dei più rinomati ristoranti in ricetta preparata con la migliore scelta di pescato fresco. Stessa sorte spetterà a i tipici “pesci poveri”, cioè quelli più i piccoli pesci azzurri. Un vero e proprio pregiudizio di cui hanno sofferto fino a pochi decenni fa, ma dal quale sono” emersi” vincitori anche grazie a tutte le proprietà benefiche attribuitegli da medici e nutrizionisti. “Servendoci” del gusto dei doni del mare, questo crea un vortice di sapori per via delle difficoltà che nascono.
Non a caso gli stessi piatti assumono tante differenze a seconda della “vocazione ittica” del territorio in cui sono preparati.
I piatti frutti del mare più famosi sono: “Alla marinara”, “alla pescatora”, “allo scoglio”… “all’acqua pazza”, “ai frutti di mare”, “alla catalana”. Queste però sono solo alcuni dei nomi delle pietanze di mare tra le più diffuse nel nostro paese. Non sono gli unici, perché, nella mia opinione, la “cucina di mare”, tra mode e innovazione dei gusti, per abbinamenti o “mutazioni” biologiche, può variare.
Credo fermamente si possa affermare che non ne esista uno solo di Storytelling del food, e che soprattutto sia statico. Riguardo il mare, per la consistenza e i condimenti utilizzati, si dovrebbe parlare di una Cucina “multi-livello”.
Eugenio Fiorentino