L’esperienza del DiretTour a domicilio, riguardo la Pizza fritta della Pizzeria De’ Figliole, è stata per me gustosa e piacevole ma non soddisfacente per la cronaca.
Perchè sempre affascinante recarsi in questi locali storici, per carpire anche dalle mura, dai lavoratori il modo di essere acquisito attraverso quell’impostazione cresciuta durante lo Storytelling del food, così abbiamo iniziato a studiare, scoprendo tanti particolari aspetti.
Iniziando a capire di più riguardo il nome, scoprendo che a fondare il locale, intorno al 1860, nel Vasto, fu la mamma del primo Gennaro Apetino, nonno delle signore Giuseppina, Immacolata e Carmela. Il nome abbastanza insolito per il genere, ma nonno Gennaro lo dedicò all’epoca alle sue figlie femmine: “Anna, Antonietta, Nunzia e Rita”.
Tutto ha inizio nel ‘45, quando la pizzeria, a causa dei danni subiti nel corso dei bombardamenti della guerra, si trasferì a Via Enrico De Nicola dove rimase fino ai primi anni Settanta, in un locale molto popolare, dove la pizza fritta era distribuita in strada da un bancone con vetrina per pochi soldi: 30, 50 lire.
Nel 1973 si inizia a tremare freddo, perchè Gennaro Apetino, un pò in là con gli anni ed un pò demotivato dal cattivo andamento economico post guerra, decise di riconsegnare la licenza, s’era stancato, essendo già anziano”.
Fu allora che bisogna dare orgoglio al nome, quindi le figliole o almeno una, come la figlia Antonietta deve iniziare ad assumerne il controllo, iniziando con il fratello Pasquale. Ecco che essendo cambiati un pò i tempi iniziano a cercare una nuova sede, trasferendosi a Via Giudecca Vecchia, dove il locale si trova tuttora. Un buon impulso iniziale fu dato dalla Signora Antonietta, donna di gran forza, che non accettava comò fosse possibile che la Pizza Margherita, una neonata gourmet, usando termini attuali, potesse essere sulla bocca di tutti che si erano dimenticati a pieno della pizza fritta. Questo perché il locale è forte del proprio modus vivendi e producendi, non doveva essere una Pizzeria dove si fa, come nella gran parte, anche la pizza fritta, ma un locale che serve e prepara solamente pizza fritta!
Così componendo la stessa in maniera diversa, non solo con i classici ingredienti base: “Ricotta, cicoli, salame, fiordilatte, pomodoro e pepe”, oltre la versione provola, scarola e olive nere.
Le tecniche sono sempre le tradizionali, quelle che hanno costruito lo Storytelling del food, così l’impasto è fatto molto semplicemente al mattino con il lievito di birra e lasciato lievitare il tempo necessario, a seconda delle condizioni climatiche, per circa 6 ore.
Non a caso i primi clienti reclamano, in maniera storica la propria pizza già dalle 11,30! C’è chi chiama al telefono, o c’è chi memore e forte di tradizionali abitudini cala un paniere, o c’è chi è voglioso di vivere e non solo assaporare la tradizione, aspetta in sala in maniera conviviale che al bancone si creino bontà.
Così arriva il momento di mettersi all’opera come Storytelling impone, quindi bisogna tirare fuori dal banco due panetti di pizza da circa 130 grammi (più piccoli di quelli usati per la pizza comune).
Ora bisogna creare, quindi si stendono sul banco di marmo, quindi ne si farcisce uno con ricotta, qualche cicolo e poco fiordilatte
e poi lo si copre con l’altro, sigillandone i bordi.
Per il calzone, il panetto di pizza (dalle Figliole due messi insieme) è steso, farcito e ripiegato su se stesso.
La forza del loro Storytelling del food è il resistere alle mode, perché anche se queste procedono i clienti continuano a chiedere: “O Piscitiello”, cioè il Calzone classico, a forma di mezzaluna”. Per il calzone, il panetto di pizza (dalle Figliole due messi insieme) è steso, farcito e ripiegato su se stesso.
Ecco che arriva il momento importante, cioè la cottura! Bisogna immergerla nell’olio e rigirarla accuratamente, sgocciola la pizza su un vassoio e ne fa un cartoccio per il signore che va via proferendosi in grandi riverenze.
Tuttora osservare gli Apetino mentre lavorano fa capire che l’amore per la pizza fritta si è trasformato in: “Un culto, una tradizione e soprattutto una specialità frutto di un’arte del far pizza che sta a sé e che come tale meriterebbe uno studio specifico.”
Ogni comanda, in questo locale, è una storia a parte almeno per due motivi, se non tre. Primo, abbiamo detto, il prezzo, che è oggetto di contrattazione.
Nonostante fossimo nel moderno 2022, certe tradizioni resistono, per cui continuano le contrattazioni tra clienti e proprietari, sebbene i quattro tipi di pizza fritta serviti (“Completa” – con ricotta, cicoli, salame, pomodoro, provola e pepe; “Scarole” – con scarole crude, acciughe, olive nere e pepe; “Chicchinese” ossia “con tutto e niente” – che unisce le due precedenti; e, infine, “Salsicce e friarielli”) costino 3 euro (1 euro in più al tavolo), alcuni vecchi clienti, o i loro discendenti, ancora agiscono secondo la vecchia maniera, cioè ordinando la pizza con il prezzo che vogliono spendere.
L’aspetto storico non riguardo solo il prodotto, il costo o gli ingredienti, ma soprattutto come si fa, per esempio vige ancora la modalità di chiusura della pizza usando due panetti sovrapposti è il procedimento per la classica pizza fritta e tirandola “per le orecchie” (in modo che la pasta si assottigli).
La Pizza fritta è vero che nasce popolare perché all’epoca la più facile da realizzare, non dovendo avere per forza un forno, ma bastava un pentolone con dell’olio, ma permettere a questa di diventare unica nel suo genere, ed anche abbastanza rinomata è sintomo di aver scritto il giusto Storytelling del food, attraverso il loro onorare il prima per creare un dopo ancora migliore!
Eugenio Fiorentino
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