In un determinato e abbastanza periodo dell’anno il Torrone è il Re dei dolci a Napoli.
Gode, però, di origini antichissime. infatti gli appartiene uno Storytelling del food davvero affascinante. Non lo è solo a Napoli perché la sua è una storia che va oltre il gusto, per riuscire ad ottenere questa nostra menzione. Non solo perché riesce ad addolcire, rendere piacevole un periodo dell’anno abbastanza tetro, invitandoci a superare la morte con la rinascita nel dolce.
Bisogna capirci di più, quindi, considerando le diverse teorie circa la sua origine, notiamo un intrecciamento di culture. Raccontante come da una Tradizione che muore ne nasca un’altra e riesce a migliorarsi adeguandosi ai tempi e diventando per tutti, creando in se sempre storia nuova.
Infatti ad una che ne muore ne nasce una nuova, perché la morte di quella tradizione non è mai effettiva, ma da spunti per far continuare la tradizione basilare di questo dolce. Analizzare tutto bene, o magari un pò meglio.
Infatti la prima fonte storica ci porta nella città di Benevento (Maleventum per i Romani).
La tradizione antichissima del torrone risale quindi all’epoca sannita, apprezzato e consumato dalle classi agiate, come da quelle più povere, il torrone era conosciuto già al tempo dei Romani. Si ritiene che possa derivare da una preparazione di miele, albume e mandorle come dimostrerebbero alcuni scritti dello storico Tito Livio.
A Siena il torrone locale è venduto ancora oggi in dischi, denominati “copate” o panforte, quindi lo si mangia in spicchi, a differenza della tradizione che lo vuole nella forma dell’unico blocco.
Il termine “torrone” sembra derivi dal latino torreo, verbo che significa “abbrustolire”, con riferimento alla tostatura delle nocciole e delle mandorle. Per i suoi ingredienti possiamo identificare in questo dolce, regalato per il solstizio d’inverno, alcuni valori simbolici: dolcezza (miele) forza della vita (mandorle), rinascita (albume uovo),infatti poi è stato legato alle ricorrenze del 1 e 2 Novembre (Ogni Santi e Morti).
In alcune località legato anche al Natale, proprio per i suoi ingredienti che rappresentano la vita e la rinascita ,quindi la “morte” vista come resurrezione un’inizio e non una fine. Un dolce semplice, ma ricco di fascino ,proprio per il legame tra sacro e profano che rappresenta.
Il sapore adesso è molto standardizzato, perciò dobbiamo ricordare cosa la storia insegna, e cercare di non perdere la genuinità della ricetta, eccola per voi:
Ingredienti:
500g di miele di manna
650g di zucchero
750g di mandorle
Baccello di vaniglia
5 albumi
ostie
Tanti ingredienti, che magari si può non capire come possano coesistere, ma anche loro a condannare il proprio ed unico gusto a rinascere in un nuovo. Concentriamoci riguardo il come sia possibile, quindi:
Preparazione: Montare gli albumi a neve. Caramellare il miele con lo zucchero e a 200ml di acqua. Unire i due composti e rimettere sul fuoco continuando a mescolare. Quando sarà pronto, incorporare le mandorle tostate e amalgamare energicamente. Stendere le ostie in uno stampo rettangolare, versare il composto e coprire con un altro foglio d’ostia. Premere leggermente con le mani e livellare. Ritagliare il torrone ancor tiepido della dimensione desiderata. Lasciare riposare e servire tagliato a pezzi. Per ottenere un torrone più morbido aggiungere altri albumi.
Alcune voci tramandate nei secoli farebbero poi addirittura risalire addirittura in Cina: pare che il torrone sia nato qui, luogo dal quale proviene storicamente la mandorla,altre farebbero risalire agli arabi importato nel bacino del Mediterraneo, in Sicilia, in Spagna, e a Cremona, strategico porto fluviale sul Po. Il torrone sarebbe quindi una variazione della famosa “cubbaita” o “giuggiolena“, dolce arabo fatto di miele e sesamo. “Turròn” è un termine spagnolo alquanto discusso e secondo le tesi degli studiosi iberici il torrone sarebbe ad ogni modo di derivazione araba. L’inizio della produzione di torroni tradizionali in Spagna si fa risalire al XVI secolo;di questo però abbiamo fonte scritta che tra il 1100 e il 1150, Gherardo Cremonese tradusse il “De medicinis e cibis semplicibus”, scritto dal medico di Cordova Abdul Mutarrif. Vi si esaltavano le virtù del miele da sempre fonte di benessere per le sue proprietà antibatteriche e curative e veniva citato un dolce arabo: il ” turun“. A Cremona, i rivenditori sostengono comunque che il torrone nacque lì, nel 1441, durante il banchetto nuziale di Bianca Maria Visconti e di Francesco Sforza, quando venne confezionato in forma di Torrazzo (l’alta torre campanaria del duomo della città), da cui avrebbe preso il nome.
Secondo un’altra tradizione infine, furono gli antichi Romani a tramandarci la ricetta di questa ghiottoneria. Nel 116 circa a.C., Marco Terenzio Marrone il Reatino citava il gustoso “Cuppedo“: “Cupeto” è ancora oggi il nome del torrone in molte zone dell’Italia Meridionale.
Anche l’etimologia del nome “torrone” ci porta dallo spagnolo turròn = abbrustolito (derivato di turrar = arrostire), al latino torrere = tostare.
Oggi le diverse varianti regionali della ricetta possono essere a base di pasta più o meno morbida, arricchita con frutta secca, fichi, erbe, spezie, scorze di agrumi o cioccolato.
Poi successivamente abbiamo avuto anche altre versioni ,quello morbido al cioccolato, alla gianduia, ma la cosa fondamentale se ci fate caso è sempre la costante della frutta secca di questo periodo autunnale come le Nocciole, tipiche della zona di Benevento ,infatti anche lì ricaviamo delle notizie storiche sulla ricetta, la fama del torrone di Benevento, già enclave dello Stato Pontificio, si diffuse in particolar modo nel XVII secolo, in quanto, in occasione delle feste natalizie, il prodotto veniva mandato a Roma, in dono a prelati e ad alti personaggi della capitale. Nel secolo successivo una delle specialità prodotte, una vera leccornia, si chiamò addirittura “torrone del Papa”, e non solo nell’ ‘800 si racconta che i Borboni resero famosa la “Cupeta beneventana” facendolo diventare il prodotto natalizio per eccellenza e dando avvio a una tradizione che si è tramandata nei secoli fino ai nostri giorni.
Maria Teresa Grisi Franchini